17 | 18 | 19 |20 | 21 | 22 MARZO

ART

testo Yasmina Reza
traduzione Luca Scarlini
regia Riccardo Festa
video Valentina Galluccio
costumi RRuna
con Michele Cesari, Riccardo Festa, Marco Palange
una produzione URTeatro

Yasmine Reza ha scritto un testo teatrale su tre amici. Si intitola ART. Ruota attorno ad un quadro, un’opera di arte contemporanea, concettuale. Il quadro è ovviamente un pretesto, il primo, l’elemento estraneo che rompe il delicato equilibrio che regola il rapporto tra le vite dei tre amici.
L’altro pre-testo è tutto quello che non sappiamo di loro, quello che non ci viene detto, quello che solo intuiamo, da come si parlano da quello che si dicono. C’è qualcosa che precede tutte le parole che i tre si dicono o che pensano tra sé e sé, c’è un condiviso che si sfalda facendoci vedere come in fondo quando si condivide un’esperienza, come la vita stessa, quello che accade davvero è di stare nella stessa curvatura di spazio e tempo e niente più. Ovvero, che ogni evento è un’epifania per noi e noi soltanto, che dare senso alle cose è una pratica individuale e che starsi vicini non basta. Bisogna anche fare lo sforzo di vedere che insistiamo solamente sullo stesso piano e accettare che siamo diversi. Profondamente.

Intorno all’idea

Che ci voglia un’Arte per vivere.
Che l’Arte non si capisce fino in fondo.
Che resta sempre uno spazio di confusione, un incerto insondabile, un’impressione, l’idea che qualcosa ce lo dobbiamo mettere noi, per darle un valore, all’ Arte. Come si fa con le persone, che non si capiscono mai fino in fondo, che ci sorprendono o deludono o cambiano, pensiamo: com’è cambiato. E quel pezzo in più lo stiamo mettendo noi.
Che in un’opera d’arte investiamo come si investe sulle persone. Lo capisco, non lo capisco, mi rappresenta, mi ci riconosco, mi emoziona, mi lascia indifferente, non vale niente, non mi piace, è bellissimo, mi viene da piangere, non lo posso guardare, ma cos’è? non ci credo, come ha fatto? È stupendo.
Eccomi tutto completamente lì dentro. Quindi lì, fuori. Eccola tutta completamente lì fuori in un gesto, bianco su bianco, come dipinta su un quadro, la filigrana di quello che siamo.
Che non tutto si riesce a condividere.
Che pure questo non riuscire, questa impossibilità, questa frattura, si possa condividere.

IL PROGETTO

Siamo tre amici. Facciamo (più o meno) lo stesso lavoro. Ci conosciamo da tempo. Da tempo ci troviamo a condividere passioni, divertimento, tempo libero, tempo occupato, vita privata, scelte e obblighi. Ci siamo imbattuti in questo testo che metteva in scena proprio tre amici. Abbiamo pensato alla possibilità di un cortocircuito, di metterci a specchio con i tre protagonisti dell’opera teatrale. Di fare un esorcismo, in fondo; un rito che ci permetta di essere orribili tra di noi, ma per finta, sperando questo basti a non farlo accadere davvero. E abbiamo inoltre avvertito, forte, la possibilità che mettere in scena il testo di Yasmine Reza ci offriva: quello di non dover spiegare niente – di noi, del testo, del contesto, delle motivazioni, dei retropensieri – Era già tutto lì. C’era solo da andare in scena.
Per farlo abbiamo pensato di rendere l’allestimento il più essenziale possibile. Quasi fosse un trattato di geometria euclidea. In uno spazio nero, una black box, i tre personaggi si parlano come da un abisso, illuminati in zone diverse del palco. Ogni zona ha un significato, corrisponde ad uno stato emotivo, ad un sottotesto, ad un’intenzione. Così come le distanze tra loro, le posizioni dei loro corpi in relazione agli altri e al pubblico che li osserva.
A volte si guardano, a volte semplicemente si stanno di fianco, a volte si ignorano. Abitano lo stesso spazio e tempo, emergendo come accidentalmente da un vuoto – di senso- al quale ritornano. Tutto fanno le parole, il loro ritmo, che detta la sequenza alle luci.
Come su un palco di standup comedy, i tre protagonisti della storia vengono illuminati e definiti da quello che dicono e da come se lo dicono.
Proviamo dunque ad evitare un allestimento naturalistico, a rifuggire la ricostruzione anche solo accennata di un interno borghese, con i divani le sedie i tavoli che sono sempre sbagliati. Proviamo invece ad isolare la vicenda, decontestualizzarla, affidandoci alle parole e al senso conferito dalla relazione tra chi queste parole le pronuncia e dove sta mentre lo fa – non solo spazialmente ma anche eticamente. Per evitare che quei personaggi diventino troppo familiari, troppo noti, troppo vicini. Mantenere una distanza minima e storta per poter sentire meglio come, quando si ride dei loro affanni, lo si faccia un po’ anche dei nostri.
E si ride, certo amaramente, di come ci si può perdere a volte anche dietro una superficie trasparente.
Alle loro spalle, sulla parete di fondo, proiettato per tutto il tempo dello spettacolo, il lavoro visivo dell’artista VALENTINA GALLUCCIO fornisce il connotato emotivo, la vibrazione quantistica che sposta il piano del discorso verso quanto c’è di imponderabile, anche dietro la costruzione logica più rigorosa, quell’ elemento irrisolvibile che resiste ad ogni simbolizzazione, ad ogni tentativo di riduzione, e assimilazione.
Quel bianco che non è bianco. O che è più bianco di un altro bianco. E in cui ci si può perdere.
Il brand RRUNA, marchio che racconta l’arte attraverso la moda e le cui collezioni sono disegnate in esclusiva da un’artista diverso per ogni stagione, ha deciso di collaborare al nostro progetto fornendo i costumi per lo spettacolo.
Anche per i costumi, dunque, abbiamo deciso di allontanarci dal quotidiano, di seguire una strada segnata dalla sinergia tra arte e messa scena, trovando in questa scelta un ulteriore rimando al titolo dell’ opera di Yasmine Reza.