TEATRO ARGOT STUDIO

C’è stato uno spazio, a Roma, che in anni insospettabili e anticipatori ha permesso di fare teatro con l’immediatezza dei colpi di testa, col concorso di attori di culto, con le drammaturgie da instant-theatre, con la dimestichezza di cordate di artisti-amici, di avventure poi cresciute a eventi nazionali, e con un concorso di branchi folti e inediti di pubblico. Questo spazio così elastico e avveduto, così trampolino e meeting point, così fabbrica e palestra, così galleria e Village, questo spazio che creò mode e modelli, che lanciò sistemi aggregativi e frontiere elaborate o disincantate del linguaggio, che si liberò di ideologie per mettere in produzione idee, e che mutò la mappa della nuova scena a Roma e, direi, in Italia, questa stanza di compensazione della scrittura, della voce e della regia in un quadro di club culture che rendeva tutti (artisti, addetti ai lavori e spettatori) responsabili di pratiche nuove, di tensioni nuove, di crisi nuove, di sarcasmi nuovi, di scandali nuovi, di autoreferenzialità nuove, di internazionalità nuove, di poetiche nuove e di appartenenze nuove, questo luogo che esercitò risonanze e che diffuse un’identità formativa e informativa tale da segnare una svolta, questo campo da gioco per partite irrituali ma clamorose era una piccola sala nel quartiere Trastevere, l’Argot Teatro. Una struttura ideata e condotta fin dalla metà degli anni Ottanta da un attore-regista, Maurizio Panici, che ebbe l’intuito di rendere fluida la programmazione, di creare una casa per gli artisti giovani, senza pretendere un tesseramento della ricerca. Il risultato di spettacoli, incontri, formule e progetti fu quello di svecchiare un panorama troppo elitario delle pur gloriose (e necessarie, a suo tempo) cantine romane. Senza dar vita, in questo processo di volta pagina mai polemico e mai violento, a un ennesimo catalogo disciplinato di tendenze, tanto è vero che non riesco, pur essendo stato un testimone assiduo di tutte quelle stagioni, a fissare nette coordinate, a sintetizzare un manifesto, a teorizzare un indirizzo.

Il fatto è che l’estrema novità dell’Argot Teatro consistette, vent’anni fa e in appresso, nel mescolare con avvedutezza le carte per far sì che il teatro diventasse un’attività creativa e consorziale spontanea (o quasi) contro lo stress del formalismo quotidiano, non dando regole ma istituendo un terreno neutro ospitante o negante tutte le regole. Dunque la storia dell’Argot è una storia di emozioni, di scoperte, di imprinting e di scelte (e ricordi) di nuova sensibilità. Dunque non m’è possibile tirare le somme ma m’è facile ricostituire flash, tratteggiare episodi emblematici, soffermarmi su sintomi che erano nell’aria, che si respiravano tra quelle mura trasteverine sempre gremite, chiacchierate, ambite.

Rodolfo di Giammarco

da “L’Argot… nostro contemporaneo – Venti anni di passione teatrale”